venerdì 13 giugno 2008

lunedì 12 maggio 2008

Non necessariamente…


Una luce naturale, mattutina la illumina tenuemente, lasciando trasparire guizzi di pagliuzze dorate. Di colore marrone scuro, dalla forma ondulata e cilindrica, leggermente attorcigliata, piuttosto immobile. Il suo odore penetrante e pungente mi comunica la sua freschezza, l’attimo della sua avventata e furtiva apparizione, il suo calpestamento causa un irritato suono cadenzato...c a z z o! Il contatto molle e tiepido, leggermente umido con la parte inferiore del mio corpo risveglia il mio olfatto intorpidito. La sua vista mi rimanda a una suggestione di gusto, tutt’altro che gradevole, piuttosto acido e stomachevole, provocando contrazioni addominali involontarie, che mi costringono a una repentina ritirata in bagno. Mentre distinguo chiaramente i resti della mia recente colazione, galleggianti sul fondo della tazza, dai colori e densità variabili, la mente mi rinvia a un’immagine, che si materializza affianco a me, all’altezza del mio naso…due lunghe orecchie, la lingua a penzoloni, una coda riverente e uno sguardo per nulla malevolo, che mi risveglia un profondo senso di colpa. Se solo la memoria si focalizzasse alla sera precedente, capterebbe il ricordo della mia dimenticanza, ottenebrata da effluvi alcolici e da una stanchezza artificiale, causata da un volontario e tardivo ritorno a casa. Non posso biasimare il mio irriguardoso ma fedele compagno, se davanti al mio bieco e cieco egoismo, abbia deciso di violare una regola ferrea per salvaguardare la propria salute, ascoltando e assecondando le sue esigenze corporali. Raccolgo i resti di me stesso e quelli di Sansone lasciati ritmicamente lungo il corridoio, ormai divenuti di forma pianeggiante, quando dietro l’angolo…di colore marrone scuro, dalla forma ondulata e cilindrica...allora quell’altra?

venerdì 28 marzo 2008

Orgoglio

"Una nube di fumo, tutti che scappano, non si vede nulla, i lacrimogeni della polizia, la paura, io per mano a mio padre cercando una via d'uscita". Stavano reprimendo una manifestazione all'arena di Milano. Avrò avuto non più di dieci anni. La mia vita inizia lì, appesa a quella mano, il ricordo più chiaro della mia infanzia, appena sbocciata. La memoria successiva slitta alle elementari, alla scuola "Ruffini", famosa per essere affianco al grande affresco di Leonardo "Il Cenacolo”, ma allora non c'erano ancora le file dei giapponesi fino a Corso Magenta. La maestra Gigliola Fusi mi teneva in considerazione, non perché la più brava, ma perché la più bizzarra. Sapevo stupirla. Una volta diede un compito: riempire due facciate del quaderno di "o". Stavo in casa, davanti alla televisione, non ne avevo voglia; mia madre non era certo attenta ai miei compiti, erano altri tempi, i figli erano in mano alle istituzioni, di cui gli adulti si fidavano ciecamente. Non come adesso con i genitori allertati da presunte o reali accuse carnali. Ero poco interessata alle tristi "o" e volevo vedere i cartoni. Mi misi a disegnarle sempre più grosse, fino ad occupare tutta una pagina, quattro "o" in un'unica facciata. Il giorno seguente a scuola subii la prima umiliazione; il mio quaderno fu gettato in aria in mezzo alla classe. Avevo esagerato. Silenziosamente lo raccolsi e mi rimisi al posto. Avevo capito che c'era un limite all'accettazione dei diversi, non dovevano andare troppo sui coglioni! Ne feci tesoro. Fui promossa in quinta rispondendo a tutte le domande e portando a termine lavori manuali, quale un pallosissimo rosario in creta e un ricamo a punto croce, che ho ancora appesi nella camera della mia infanzia. A pieni voti, riscattandomi, mossa dall'orgoglio. Da lì alle medie fu un salto. I miei genitori avevano la mente aperta, tanto aperta da fidarsi di un esperimento didattico al Conservatorio di Milano. La scuola si sarebbe unita, in via sperimentale, all'Istituto dei Ciechi del Conservatorio e il caro maestro Abbado sarebbe stato a guardare, come uno scienziato crudele. Entrai timidamente, indossando una triste gonna di loden, che mia madre amava tanto. Già il primo giorno mi accorsi della mancanza di regole; fui immediatamente presa in giro, perché vestita troppo bene. Il primo quadrimestre la mia pagella aveva dei bei voti ma un giudizio pessimo sulla mia persona: "La ragazza non è inserita, fatica a socializzare, anche se ha buoni rendimenti". Presi in mano la situazione, alla lettera. Abbandonai i rendimenti e mi dedicai al lavoro di leader. Le lezioni, gestite da me, finirono per essere un gioco a nascondino, e l'ora d'italiano un giro a bottiglia. Le insegnanti si susseguirono, alla ricerca di chi sarebbe riuscito a sottomettermi. Per non parlare dei non vedenti, vittime innocenti, ai quali schiacciavo i puntini del brail per non farli più leggere, finendo con lo spintonarli giù dalle scale. A livello personale fu un successo. In tempo breve fui colei che poteva comandare di infilare un cucchiaio nel culo al secchione della classe. Secondo quadrimestre: "La ragazza ha avuto un calo di rendimento. Il suo inserimento è però completo, mostra chiari segni d'attitudine al comando". Non fu un esperimento riuscito, come scuola, ma il mio orgoglio ne uscì ancora vincitore. Il resto fu un disastro. Ma fu lì che conobbi Giulio Comello, capelli lunghi biondo platino, costantemente spettinati, jeans a zampa, maglioni larghi; una pippa a scuola, chi di noi non lo era a quell'età, a parte il solito secchione. Giulio era bello e dannato; un leader! Ci intendemmo subito, ma era troppo convenzionale accettarsi. Agli occhi degli altri non potevamo amarci, dovevamo essere di tutti, concederci, non eravamo autorizzati ad essere una coppia, era antipolitica, faceva fascista. Ci amavamo facendo finta di niente, soffrendo la mancanza d'intimità. Alle feste dovevamo baciare tutti indistintamente, per non mostrare preferenze, distaccati, per essere superiori, ma soffrivamo da morire osservandoci fare lingua in bocca, con degli sconosciuti. Ogni manata, ogni palpata nell’intimità, una tortura; ogni sorriso, un equivoco. Sapevamo di amarci, ma non era quello il tempo e il luogo. Era figlio di un attore, questo me lo avvicinava ancora di più. Io ero figlia di un impresario teatrale, sempre in tournée e troppo assente per aver voglia, una volta tornato a casa, di mettere la testa nei miei problemi, e di una madre sempre e solo accompagnata da bicchieri di Lambrusco e dischi di Aznavour. Una sera, mentre io e mio fratello eravamo a letto, sentimmo un botto nel bagno. Era caduta sbattendo la testa sul bordo della vasca: aveva le mani insanguinate e lo sguardo stravolto dal dolore. Matteo ed io, la guardammo nascondere la vergogna e la perduta dignità. Ci cacciò via in malo modo. Ancora adesso odio Aznavour. Giulio fece una festa nella sala prove di suo padre. Tutta la classe partecipò. Giocammo ad uno strano gioco, tipo palla prigioniera. La fila dei maschi al centro doveva catturare una delle tante femmine che tentava di raggiungere la sponda opposta e s'invertiva. Io facevo di tutto per cascare tra le sue braccia, per essere presa, catturata, per godere di un momento d'intimità ammesso, o anche solo mascherato. Lui faceva lo stesso, fino a che una voce gelosa tra gli invitati: "Scusate, ma se Giulio voleva fare una festa solo con Elisa, poteva avvertirci!" E tutto finì. Giulio non avrebbe rinunciato mai al suo ruolo di leader, e poco dopo mi lasciò. Fu difficilissimo per me, incassare il colpo. Tutte le mattine lo vedevo in classe flirtare con le altre, indifferente al mio cuore attorcigliato. Un giorno, però, intuii la verità. Mentre eravamo in cerchio a cantare tutti insieme una canzone di Battisti, "La canzone del sole", incrociai il suo sguardo; aveva continuato ad osservarmi da lontano, era ancora innamorato! Approfittai subito della situazione e come la perfida Medusa lo marmorizzai, fidanzandomi col suo migliore amico, Nicola. Mi trasformai nella perfetta innamorata, sempre attaccata a lui, ostentando baci scandalosi e attenzioni da geisha, esibendomi in provocazioni di ogni genere, un metodo efficace per guarire il mio orgoglio ferito. Giulio non venne più a scuola. In questo modo, forse, mi stava mostrando la sua indifferenza. Mi sentii una stupida, come avevo potuto sperare di riconquistare uno come lui con dei giochetti da bambina! Lo avevo perso. La mia vita cambiò, avevo dei solchi profondi nell'anima, come i miei sensi di colpa. Mi diedi alla politica, come può fare una quattordicenne, con la convinzione scaturita più dall'appartenenza ad un gruppo, che personale. Erano gli anni di piombo, Milano era una pentola a pressione. Bastava un niente per farla esplodere. Avevano appena ammazzato Fausto e Iaio. Andai a quella grossa manifestazione, motivata dalla rabbia, dallo sdegno, dal disprezzo. Tanta gente, tanto fumo, tanta polizia che librava nell'aria i manganelli come fossero birilli da circo. Io che scappavo cercando di mettermi in salvo. Fu lì che vidi tendermi una mano, era Giulio, bellissimo, con un fazzoletto sulla faccia, brandiva un grosso bastone di legno. Mi guardò negli occhi, mi afferrò forte e iniziò a correre, facendosi largo a bastonate. Il cuore mi batteva impazzito. Riuscimmo a superare le camionette infernali, dove a caso venivano rinchiusi i nostri compagni e ammazzati di botte. Continuavamo a correre, via da lì, senza più fiato, per poterci ritrovare, abbracciare, finalmente amare davanti a tutti. Un sibilo, non so da dove, mi passo sopra l'orecchio, improvvisamente il silenzio intorno, mi immobilizzai, il corpo di Giulio che si accasciava al rallentatore. Io che continuavo a stringerlo. La mia vita finiva lì, appesa a quella mano, il ricordo più chiaro della mia adolescenza, per sempre spezzata.

mercoledì 27 febbraio 2008




... En la distancia creas mis dudas, me enfado con el tiempo que no quita el ojo a mi presencia... Siento celos de aquello que aún no has derramado en mis labios... y para tí todo esto no es más que un problema que me han creado... y en horas no se donde esconder mi rostro... no se donde alojar mis sentidos... nos separa una delgada línea imaginaria que no deja rozar nuestras ilusiones... voy creando montañas con mis miedos... y aunque no lo creas intento despejar esta niebla tan intensa... esta niebla que no facilita mis huellas en el camino... Y quiero decirte que eres como una mezcla de olores que jamás mantuve en mi cuerpo... como una ilusión óptica que jamás podré alcanzar... desearla como más quisiera... pronunciarla como mi alma necesita... y no solo mis defectos forman parte de lo que soy... y al escribir esto me da por pensar en mi madre... ¿Porque ella me quiere como lo que ve?... ¿Porque no puedes admitir a mi persona del mismo modo?... y en este momento deseo esconderme de todo el mundo... deseo desaparecer por momentos... y el único acto es recostarme en la cama y dejar pasar las horas... y sí, como bien dije, esconder mi rostro... barrer mis errores, mis fallos, mis defectos, como bien se quieran llamar... esconderlos sin armar mucho ruido... descansar de aquello que tanto taladra mi cabeza... Y siento frío... siento necesidad de acurrucar mis motivos por los cuales Te Quiero... de dar calor a lo que en este momento nadie me puede dar... susurrar a mis sentidos como cuando te encuentras a mi lado... y dejare pasar estas horas tan confusas... esconderé de nuevo mi cabeza bajo estas sabanas tan frías... dejare que la luna me desvele con quien sueñas esta noche... dejare que su luz no enfríe a mi soledad....

lunedì 18 febbraio 2008

... Renazco de luces cálidas que reflejan mi delicadeza... Me reflejo en tu mirada, asustando a mis temores... y me rodeas con tus brazos intentando calmar mi temblor... y quizás podría ser algo mas soñado que real... la pantalla de mi móvil se llena de mensajes que pocas veces leeré... pienso si es aquello cierto... pienso si todo esto es cierto... y si realmente aquí hay algún juez que nos de la razón... Cierro los ojos y recuerdo estas situaciones como cuando me encontraba en el patio del colegio con mi Baby a cuadros... y cien niños a mi alrededor chillando, llorando, por sentirse como en una prisión... Y todo a mí alrededor da la sensación que da vueltas... todo a mi alrededor gira ... Y la luz del sol enseguida bofetea este lado de mi cara y deja ver los fallos de mi rostro... y tu no estas aquí para verlos... se me permite caer en suelo poco mullido, en asfalto solitario y sediento, donde solo desprende calor... dejo que mi cuerpo se deshidrate, que el viento se lleve aquello que nadie quiere... Mis ojos sin pestañear, con sed de lágrimas que un día ya derrame... mis labios agrietados, resecos de Amor, deseando ser besados.... deseando ser acaramelados... Y despierto de esta pesadilla que tantos días cubre mi ser... En que momento acabara esta guerra que aun no se cuando comenzó? ¿... Cuando recuperare mis siete vidas, aquellas que regale sin dejar nada a cambio... Cuantas horas me quedan por finalizar este camino? ¿... Y que es aquello que encontrare al final de el...

venerdì 15 febbraio 2008

Figlio della luna

Venivo da Milano, avevo poco più di vent’anni e facevo l’attrice. Costretta a stare per lunghi periodi nella capitale, a causa delle prove, decisi di trasferirmi definitivamente. Cercare casa non era facile, gli affitti non erano alla mia portata, perciò tergiversavo approfittando delle amicizie, girandomi tutti i quartieri di Roma. Quella volta abitavo in vicolo dei Serpenti, la casa era dell’amica di una mia amica, in pratica una sconosciuta, anche lei attrice, ma molto più grande di me. La sera che arrivai, le dieci circa, mi accolse frettolosamente, mi fece vedere il letto e scappò via, urlandomi che non c’era niente da mangiare. Sbatté la porta. Buttai la borsa sul letto e comincia ad accusare il digiuno. Andai ad aprire il frigo, solo per curiosità, naturalmente. Due uova sode, una ciotolina di patate lesse, coperte con attenzione dalla pellicola trasparente, uno yogurt magro, un avanzo di burro. Anche se avessi potuto, non mi sarei fatta deprimere ulteriormente. Decisi di andarmi a comprare una pizza. Nel vicolo notai subito molta sporcizia, per terra siringhe, bottiglie e il cassonetto stracolmo. Le facce degli sconosciuti rovinate dall’indigenza, o dalla disperazione, o da entrambe, le donne erano, per lo più, puttane. Mi preoccupai dei miei ritorni a casa, la sera tardi dopo lo spettacolo. Mi feci fare una pizza tonda, in una pizzeria deserta, con le pareti ammuffite e l’aria che puzzava d’olio rancido, però il pizzaiolo era simpatico. Mi fece le battute da copione sul mio accento e mi raccontò del solito parente trasferito a Milano per lavoro. “Come si lavora bene là, ma la città, il tempo…”. Sì lo so, anch’io odio Milano, non solo per questo. Milano si odia e basta. Presi la pizza e andai a mangiarmela a casa. Era poco illuminata, due finestre davano sul vicolo, mentre quelle della cucina, camera e bagno, si affacciavano su un piccolo cortiletto interno, da dove si potevano lavare bene i panni sporchi dei vicini. Fu dalla cucina che assistetti alla scena. Iniziarono ad urlare, lui la insultava pesantemente, lei si difendeva piangendo, lui le tirò uno schiaffo, e lei gli sputò in faccia. “Sei una puttana, questo non è mio figlio!”. Lei aveva un bambino piccolissimo in braccio. “Sei un porco, come fai a pensare una cosa simile, schifoso!” Lui accecato dall’ira, continuava a negare, ad accusarla di tradimento, “Lui è biondo, troia!”. Lei si agitava, noncurante del bambino, strattonandolo, se avesse potuto lo avrebbe gettato dalla finestra. Non poteva difendersi. Lui approfittò, l’afferrò e le affondò la lama di un coltello nella pancia. Urlai, la pizza mi cadde per terra, non sapevo cosa fare, altri vicini si affacciarono e cominciarono ad urlare anche loro: “Chiamate la polizia, un’ambulanza! Presto!” Non avevo la minima idea di quale fosse il numero. Completamente nel pallone, incapace, inerme, frustrata, arrabbiata, non potendo aiutare quel neonato. La notte passò insonne, molta gente, macchine della polizia, ambulanza, chiacchiere, interrogatori. La mattina dopo, scesi per andare a bere un caffé, ero molto stanca, la strada era tornata silenziosa e io non riuscivo a togliermi dalla mente quella scena. Guardai il cassonetto, era stato svuotato, come il cuore di quel bambino.

Il mio primo SENRYŪ


C'è sempre un ma
Dopo un sì potremmo
Prima di un se

giovedì 14 febbraio 2008

Ti Adoro

T'adoro al pari della volta notturna, o vaso di tristezza, o grande taciturna! E tanto più t'amo quanto più mi fuggi, o bella, e sembri, ornamento delle mie notti, ironicamente accumulare la distanza che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite. Mi porto all'attacco, m'arrampico all'assalto come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo, fiera implacabile e cruda, sino la freddezza che ti fa più bella ai miei occhi.

CHARLES BAUDELAIRE

venerdì 1 febbraio 2008

Un momento di poesia...


Tutto sembra

Niente è ciò che sembra, ma forse è solo questo,
qui l'inganno, qui il tormento.
Se tutto è ciò che è, che senso ha,
li fuori c'è il nulla.
La tua proiezione,
in un bicchiere di vino.


Vivere

Vogliamo essere giusti,
vogliamo essere sani,
vogliamo essere bravi,
vogliamo essere intelligenti.
Io vedo solo tentativi d'essere immortali,
senza coscienza, senza sapere come
sentirsi vivi.

Attimi


Il tempo passa senza chiederti permesso,
una spallata e va,
il tempo di girarti per rendertene conto,
è già oltre e tu non l'hai visto in faccia.

In aria

Parole brevi per una vita in corsa,
sempre fuori città,
trottolino amoroso dudu da dada...
Ecco cos'è il vizio nazionale,
un'accozzaglia di suoni sdolcinati che fanno rima.

Mary Poppins

Io sono per il corto,
la poesia, il racconto, il titolo.
Non c'è bisogno che la descrizione
esprima più del contenuto.
Si finisce per inventare
supercalifragilistichespiralitoso,
senza avere più niente da dire.


Il fondo

O ci provochiamo, perché ci piacciamo,
o se no ti offro da bere.


Fregatura

La festa non dura, quale notizia vuoi per prima?
La prima? La seconda? Le cattive notizie arrivano per prime
Allora la seconda.
Troppo tardi, adesso non conta più.
Perché perdiamo sempre tempo prezioso?

giovedì 31 gennaio 2008


... en estos días de la semana tan inciertos en los que vivo, mi cuerpo se siente cansado.... apoyado en la sombra de esta soledad que absorbe los pulsos de mi nostalgia... bostezo con gritos ahogados queriendo encontrar una respuesta hacia lo que otros llaman interrogantes... Cubro de lágrimas mi rostro, acariciando mis perfilados labios, alcanzando su final... Y una vez mas me deshojo como una flor... mis pétalos caen a la noche como horas contadas... mis madrugadas pasan de largo sin avisar, sin dejar que mi cuerpo flote, sin llegar a alcanzar al menos los sueños que dibujo en otros versos... Donde deje mis pulsos?¿ ... Donde perdí lo que en momentos soleados concebí ?¿ ... escribí en el cielo palabras enredadas, escribí pensando en los cuerpos que se adueñan de este aire... y en lo injusto que se ve el mundo desde este otro ángulo ... desde allí arriba, grito con rabia, allí donde el resto piensa que es solo una simple tormenta...

venerdì 25 gennaio 2008

- Ode alle acque del porto -

Non altro galleggia nei porti
se non rottami di casse,
cappelli abbandonati
e frutta deceduta.
Dall’alto
i grandi uccelli neri
stanno a guardare, immobili.
Il mare si è rassegnato
all’immondizia
,
le impronte digitali dell’olio
si sono stampate sull’acqua
come
se qualcuno avesse camminato
sulle onde
con piedi oleosi,
la schiuma
ignora la sua origine:
non più zuppa di dea
nè sapone di Afrodite,
ma la sponda in gramaglie
di un’osteria
con galleggianti, oscuri
cavoli sgominati.
Gli altri uccelli neri
dalle ali sottili
come pugnali
aspettano lassù,
lenti, ormai senza volo,
confitti
in una nube,
indipendenti
e segreti
come
liturgiche forbici,
e il mare che ha scordato la marina,
lo spazio dell’acqua
che disertò
e divenne porto,
è esaminato con solennità
da un freddo comitato
di ali nere
che vola senza volare,
confitto nel cielo
blindato, indifferente,
mentre l’acqua sporca dondola
il vile lascito caduto dalle navi.
………………………………
Pablo Neruda

mercoledì 23 gennaio 2008

Rabbit in Your Headlights.Video Incredibile!

Rabbit in Your Headlights music video
Guardatevi questo video... from the Psyence Fiction album

domenica 20 gennaio 2008


… Escribo una nota….siento … y quizás lo encierro en una botella… y quizás lo arrojo al mar… dejando que recorra demasiados kilómetros … dejando que llegue a tus manos… a tu mar, a tu lugar… a tu hogar… e imagino como desenvainas el pergamino con demasiada intriga... imagino como sientes el frío de la botella… imagino como sientes el perfume de mis labios desprendidos de aquellos folios, de aquellas letras…. palabras que dejo escurrir por la tinta de una pluma… y cuando lo lees, recuerdas mi voz… me observas a tu lado… te asombras por la forma que declaro todo lo que derramo… acariciando tus cabellos… encuentras surcos salados … compartes tus lágrimas cuando te hablo de mi soledad… acaricias las lágrimas de aquellas palabras… dejando rastros de mi corazón que quise compartir … dejando marcas de seducción… marcas de pasión… recordando aquellas noches de intensa entrega… recordando secretos que encierra mi ser… interrogantes que cuelgan de nuestros destinos… y al caer la noche… al caer la noche, todas las estrellas vuelcan su calor para poder sentirte… vuelcan su luz para poder seguirte… en sueños apareces besando mi cuerpo y al despertar desapareces dejando tu olor entre mis sabanas… despierto y no estas… despierto y no estas… y te nombro en voz alta… te nombro gritando tu compañía… gritando tu Amor… comienzo a buscarte alrededor de la habitación… entonces si… me di cuenta, solo fue un sueño… me visitaste de nuevo esta noche regalándome palabras… regalándome caricias… besos… placer…. Y dejo el mensaje en una botella dejando viajar lo que siento hasta tu mundo…. Hasta lo que me pertenece, reclamando lo que me robaste… reclamando tu Amor….

martedì 15 gennaio 2008

Because the Night




Prendimi adesso baby qui come sono
Stringimi forte, prova a capire
Il desiderio è forte è il fuoco che respiro
L'amore è un banchetto sul quale ci sfamiamo
Avanti ora prova a capire
Come mi sento quando sono nelle tue mani
Prendi la mia mano, vieni al riparo
Loro non possono ferirti ora
Non possono ferirti ora non possono ferirti ora
Perché la notte appartiene agli amanti
Perché la notte appartiene al desiderio
Perché la notte appartiene agli amanti
Perché la notte appartiene a noi
Ho dubbi quando sono sola
L'amore è uno squillo, il telefono
L'amore è un angelo travestito come desiderio
Qui nel nostro letto finché mattino arriva
Avanti adesso prova a capire
Come mi sento sotto il tuo comando
Prendi la mia mano mentre il sole tramonta
Loro non possono toccarti ora non possono toccarti ora, non possono toccarti ora perché la notte appartiene agli amanti
Con l'amore dormiamo
Con dubbio il circolo vizioso
Gira e brucia Senza di te non posso vivere
Perdona, questo desiderio acceso
Io credo che sia ora, troppo vero di sentire
Cosi toccami ora, toccami ora, toccami ora
Perché la notte appartiene agli amanti
Perché stanotte ci sono due amanti
Se crediamo nella notte, ci fidiamo
Perché stanotte ci sono due amanti……

lunedì 7 gennaio 2008

Milano 1975. I Mastini


I mastini si vestono di nero, con giubbotti e guanti, i ray-ban sul viso,
scarpe lucide, passo cadenzato, sguardo ceruleo e minaccioso.
Avanzano credendo di aver vinto, avanzano nascosti nella sera,
avanzano…
Sotto i portici il rimbombo dei tacchi, suoni forti, sono forti,
a far giustizia ci vuole poco quando sei padrone della città.
Un momento di debolezza, un momento di solitudine,
si vince facilmente non pensando da soli.
Un ragazzo, una piazza, una San Babila senza babele,
solo un gioco di parole per esprimere ciò che non c'è.
Arrivano, al passo, un tango deformato, disperato, rabbioso, geloso,
intorno alla vendetta.
Non c'è un volto, non c'è età, c'è solo una guerra non digerita,
l'affronto di un potere non riconosciuto, con il senso del macabro.
Un lento rosario di noia con la goffaggine del nulla, prende di mira
un bersaglio con paranoico sadismo, con l'odio di tutti i vinti.
Jeans scampanati, camicione, eskimo e capelli lunghi sono sufficienti
per spaccare un cuore.
Ora si tolgono gli occhiali, le maschere vanno giù, ora non ne hanno più
bisogno, sono sicuri di aver vinto.
Rimane il pianto silenzioso di una città, tanta gente con le bandiere rosse che
sventolano e quel vento di maggio che se l'è portato via.

giovedì 3 gennaio 2008

Il bivio


Nel quartiere di questa piccola, estranea, città fascista, solo nello stile architettonico, naturalmente, esiste un'unica strada, delimitata da due marciapiedi. Sul lato sinistro c'è una scuola fatiscente: due grossi cubi di cemento, collegati da un lungo ed illuminato corridoio vetrato. All'interno si tengono lezioni di musica serali per i bambini, attività vitale e gioconda. Ogni giovedì accompagno mia figlia a lezione e oggi è giovedì. Veniamo accolte dall' insegnante, una donna giovanile sui trentacinque anni, ex obesa, con i segni della sua vittoria contro il grasso sul viso, sempre sorridente, con quell'aria ingenua e rassicurante, una via di mezzo tra una Ci-Ellina e una collegiale. I suoi modi sono, istintivamente, educati e gentili, da vera mangiabambini! Scambio due chiacchiere con lei, convenevoli. Bisogna dare importanza al suo duro lavoro, se nò come giustificarsi i trenta euro che chiede a lezione! In fondo sono una persona sensibile, che toglie sempre dall'imbarazzo, tenta di mettere a posto la coscienza propria e altrui e di dormire sogni tranquilli. Intorno è tutto in ordine e pulito. I libri di musica sul piano, gli strumenti sulla scrivania e lo stereo in posizione. Fa pure molto caldo, perché i termosifoni sono stati lasciati accesi per i bambini. Ogni cosa è chiara qui, tutto è assolutamente perfetto. Lascio l'aula. In tasca ho un bel gruzzolo di caramelle. Compiaciuta di me stessa, certa di star facendo la cosa giusta, sicura d'essere proprio una brava madre, esco in strada. Sul marciapiede di fronte, un piccolo bar con l'insegna al neon: il "Club delle Palme". Le luci dei lampioni illuminano il suo ingresso. Mentre sto aspettando che esca mia figlia dalla scuola, decido di entrare in questo bar. Ne sono attratta come una calamita. Dentro un uomo sui cinquant'anni seduto al tavolo, che fuma nonostante il divieto, pelato, con faccia arcigna e arrogante. Mi ricorda un po' un mio ex fidanzato, è stato arrestato, era un brigatista. Da come impartisce gli ordini al barista capisco essere il proprietario. Il barista, giovane forse trent'anni, indossa un paio d'occhiali neri. Strano, penso, con tutto questo sole? Mi guardo intorno, nel bar c'è un tentativo d'allestimento natalizio in un angolo: per terra una carta d'alluminio rossa con sopra un panettone e due bottiglie di pessimo spumante. Il tutto spruzzato di neve finta, che invece di decorare, sporca. Chiedo un caffè macchiato, anche se a quest'ora tarda mi dà un po' di voltastomaco. Sussurrando il giovane, grasso, barista, orbo, mi chiede come lo voglio. "Che cosa?", "il caffè" risponde, "chiaramente il caffè!". La battuta è sufficiente e vado a sedermi ad un tavolo. Entrano altri due uomini sulla cinquantina, entrambi in tuta verde. Deve esserci qualche fabbrica qui intorno e forse questo è il suo dopolavoro, deduco, tentando di mascherare il fastidio causato dal barista che non mi toglie gli occhiali di dosso. I due ordinano la vodka. A quest'ora? Penso. Stasera che faranno in famiglia? I bastardi! Il barista gli domanda se da un euro e cinquanta o da due. Rispondono quasi in coro, "ma diamine da due, no?!". Prende i bicchieri, secondo me enormi per la vodka, e li riempie fino all'orlo. Entra un altro uomo, sui quarant'anni, ben vestito, in giacca scura e jeans e chiede anche lui un caffè. Mi vede e fa una smorfia. Rispondo con un sorrisetto, il tempo di decidere e annuisco con la testa. Mi avvicino al bancone e chiedo al barista la chiave del bagno. L'uomo sulla quarantina mi segue… Torno, pago, senza guardare nessuno, aggiungo un cioccolatino al conto e lascio il bar. In tasca ho un bel gruzzolo di banconote. Compiaciuta di me stessa, certa di star facendo la cosa giusta, sicura d'essere proprio una brava puttana, esco in strada. Cammino al centro della via deserta, fa molto freddo e infilo le mani in tasca… le caramelle e i soldi!.